Dead Skyline

“l’ora blu” di hugo bandannas su Dispenser – Radio Rai 2

ottobre 29, 2009
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intervista ad Andrea Valentini autore di “3.7.69: Brian Jones Morte di un Rolling Stone” Ed.Tsunami

ottobre 4, 2009
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Hugo Bandannas sulle tracce dell’autore del “dead” rock-crime book  più appassionante dell’anno, “3.7.69 Brian Jones Morte di un Rolling Stone” ed.tsunami in uscita  questo mese. A 40 anni dalla misteriosa scomparsa del celebre “caschetto d’oro”  dei Rolling Stones cerchiamo di interrogare il  temerario investigatore Valentini che torna sulla scena del crimine ammaliati la nostalgia della swinging london, festini caleidoscopici e le nuove recentissime indiscrezioni filtrate dalla polizia inglese sull’annuncio di riaprire il fascicolo dopo aver ricevuto nuove informazioni. Jones, fondatore della band, aveva 27 anni quando è stato trovato morto sul fondo di una piscina nella sua casa nell’Inghilterra meridionale. Era il 3 luglio 1969: quaranta anni fa. All’epoca gli inquirenti chiusero l’inchiesta con la dicitura “morte accidentale”. Oggi, un portavoce della polizia del Sussex ha rivelato che le forze di sicurezza hanno ricevuto nuove informazioni sulla morte del musicista da un giornalista investigativo, Scott Jones: «Questi documenti saranno esaminati dalla polizia del Sussex, ma al momento è troppo presto per dire quali saranno i risultati» 

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Il tuo libro 3.7.69: Brian Jones Morte di un Rolling Stone è in uscita per i tipi della Tsunami Ed. Cosa ti ha portato a tornare sulla scena del delitto dopo 40 anni dalla morte?
Morbosa curiosità, un bel po’ di necrofilia musicale e – soprattutto – l’idea di scrivere un volume italiano aggiornato (il primo e unico è di 27 anni fa ed è fuori catalogo da una vita) su un argomento non troppo esplorato nemmeno all’estero.
Non trovi che certe pratiche sulle morti celebri, mi riferisco in particolare a quelle del club 27 (Hendrix-joplin-jones-morrison), siano state archiviate un po’ troppo frettolosamente? Perché?

È un’annosa questione… di certo non hanno avute le stesse attenzioni medico-legali di un Michael Jackson. Anche perché all’epoca dei primi membri del Club 27 il rock era ancora una musica osteggiata dal sistema, sebbene fosse già una grossa macchina da soldi che si stava evolvendo nell’industria che conosciamo. Ad ogni modo meglio far passare, per l’establishment, il messaggio che recitava “Se fai il rockettaro drogato muori e vai all’inferno”, piuttosto che indagare più a fondo e trovare spiegazioni magari leggermente meno scontate. Per Hendrix e Jones, in particolare, ci sono molti grossi dubbi sulla veridicità delle cause ufficiali di morte.
Che idea ti sei fatto di Brian Jones andando a scartabellare nelle vicende della sua vita?
Un personaggio difficile. Geniale ma capace di essere incredibilmente rozzo a volte, tenero ma anche orribilmente cattivo… insomma, la classica personalità fragile e dalle grandi oscillazioni. Poi non è mai stato circondato da amicizie e da un entourage di persone “facili”. C’erano gli squali, le groupies, altri personaggi fragili come lui… e se a questo aggiungi alcool a fiumi e droghe a go-go, la frittata è fatta.

Quale è stata la difficoltà maggiore a confrontarsi con un personaggio così espressamente contorto e poliedrico come Brian Jones?

Devo dire che mi ha aiutato il fatto di non essere un fanatico di Brian. Lo ammiro e sono molto affezionato al suo lavoro negli Stones, ma non sono un jonesiano di ferro… infatti della sua vicenda mi ha appassionato da subito il lato true crime e noir dell’ultimo periodo e della morte. Credo che questo mi abbia relativamente spianato la strada di un percorso che, altrimenti, sarebbe stato molto più difficoltoso. Ho cercato di scrivere un libro più “giallo” che altro: non è assolutamente una biografia di Brian. Anzi, ho omesso volontariamente la parte biografica e descrittiva, per entrare subito dentro a una storia, che è la storia della sua morte.
Cos’è che non è stato ancora detto sulla fine del chitarrista degli Stones?
Beh, ci sono diverse cose che non tornano e almeno 4 persone che non hanno mai detto la verità completa su ciò che hanno visto, sentito e fatto quella tragica notte del 3 luglio. Ci sono molte cose, quindi, da scoprire, che purtroppo ogni giorno che passa diventano più irraggiungibili. Ormai sono morti quasi tutti i protagonisti di questa storia… il penultimo è deceduto proprio a inizio luglio di quest’anno.
Pensi che la musica di Brian sia ancora influente sulla scena rock attuale?
Domanda difficile a cui non so se sono in grado di rispondere. Diciamo che pezzi in cui ha suonato e quelli che ha arrangiato o colorato con le sue genialate sono classici immortali e influenzeranno il rock finché il rock esisterà. Poi c’è il discorso relativo alla musica etnica, di cui lui fu – chissà se consapevolmente – un pioniere con il disco registrato in Marocco a Joujouka. In questo campo, come pioniere, di sicuro la sua influenza pesa, se non altro come fondatore di un “pensiero”.

Pensi che Brian Jones sarebbe ancora negli Stones se fosse ancora vivo?
No, senza dubbio, visto che era stato cacciato poco tempo prima di morire… e poi ormai non c’era più spazio per lui da tempo. I glimmer twins non sopportavano la sua presenza, diciamo così, anche se è un po’ riduttivo messo in questo modo.

Perché Jagger e Richards non riuscivano più a sopportarlo umanamente e musicalmente?

Musicalmente avevano preso direzioni piuttosto diverse e Jones – a detta di alcune persone vicine alla band – trovava ormai troppo semplici le canzoni che suonava negli Stones. Gli interessavano altre cose, più elaborate, meno rock’n’roll. Umanamente c’è la grave faccenda del “furto” di Anita Pallenberg a Jones da parte di Richards, che pesò come un macigno. E poi la droga… Brian era conciato davvero male: a un livello che anche Keith Richards raggiungerà solo più tardi… in quella situazione nessuno nel gruppo voleva più avere a che fare con Brian.


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